Osservazione produzione di coppia, elettrone-positrone da un fotone raggio gamma, in una camera a nebbia ESCAPE='HTML'

APPROFONDIMENTO SUI RAPPORTI TRA LE EQUAZIONI DI MAXWELL E IL MODELLO DOPPIO ELICOIDALE DEL FOTONE


Occorre tener a mente che le Equazioni di Maxwell, che portarono alla scoperta delle onde elettromagnetiche, già nella loro formulazione maxwelliana erano delle leggi che descrivevano solo approssimativamente i campi elettrici e magnetici, a differenza di altre leggi basilari di elettricità e magnetismo da cui era partito lo stesso Maxwell per la sua opera di unificazione dei due campi, in particolare ad esempio la Legge di Coulomb, che descrive il campo elettrico di cariche puntiformi.
Maxwell operò una “spalmatura” continua della carica, ma questo fu un artificio matematico!
E lo fece grazie  al passaggio matematico dalla sommatoria di distribuzioni discrete di carica, (insieme di cariche puntiformi ubicate in un certo istante in certi punti dello spazio), alla densità di carica, nelle sue equazioni finali indicata con il simbolo della lettera greca ρ (ro). Così  operando, Maxwell nelle sue equazioni perse la granulosità della carica. E quindi perse così parte della realtà vera.
Oggi infatti sappiamo dalla scoperta, meglio definita anni dopo, (dagli studi sull’elettrone in particolar modo), che la carica è e rimane granulare dal punto di vista ultimo, microscopico. Per cui in una descrizione vera e non approssimata della realtà microscopica nulla può legittimare l’uso della densità di carica formulata nella maniera maxwelliana, che nei fatti evita in ogni punto la presenza di cariche puntiformi, spalmando il loro valore su volumetti analiticamente infinitesimi certo, ma sempre finiti. In questo modo Maxwell evitò la trattazione di divergenze asintotiche all’ infinito dei campi elettrici nei punti materiali dove, come nei fatti, come nella realtà, sono presenti le cariche, puntiformi, (oggi almeno ritenute tali e con buona approssimazione sperimentale); in quei punti i campi elettrici, descritti dalla basilare Legge di Coulomb, divergerebbero infatti, e si avrebbero degli infiniti poco utili, anzi parecchio fastidiosi se di un fenomeno si vogliono cogliere proprietà risultanti, solo in prima approssimazione continue, proprietà macroscopiche emergenti proprio dalla considerazione dell’azione combinata di numerosissime cariche a livello microscopico.
Già questo deve farci comprendere che le Equazioni di Maxwell in generale, laddove si avvalevano di tali concetti di densità spalmanti i valori della carica puntiforme, cioè senza dimensioni ovvero concentrata per sua natura in volumi nulli, in volumetti piccoli ma comunque finiti con artificio matematico, erano equazioni incapaci di dare una descrizione reale microscopica dei campi generati dalle cariche che volevano descrivere. 
La densità di carica, in un materiale è una proprietà del punto, una funzione del punto e del tempo, immaginata quindi come un limite del rapporto tra la quantità di carica espressa come somma algebrica dei valori delle cariche presenti in un volume in un certo istante, diviso il volume, per il volume che tende a zero concentrandosi sempre più attorno al punto considerato.
Ora Maxwell nei materiali tratta funzioni di densità di carica finite nei vari punti, mentre se non si ricorresse agli artifici matematici detti, di ritener la carica “spalmata”, contrariamete alla sua natura puntiforme, la funzione densità nei materiali potrebbe essere in un punto:
o nulla, se non c’è la carica,
o infinita, dato il limite, se vi è una qualsiasi carica puntiforme (+infinito, se carica positiva; - infinito se carica negatica).
Così non è per Maxwell invece la sua densità che è dunque un’ artificio matematico irreale, approssimante la realtà con le dovute cautele di critica della bontà dei risultati ottenuti.
L’approssimazione continua rende perciò valide le descrizioni maxwelliane a costo di non scendere troppo sotto dei volumetti di buon senso, in cui considerare valide le approssimazioni di spalmatura continua dei valori di carica nei volumetti in cui le cariche puntiformi son presenti.
Tutto questo ci fa capire che i risultati delle sue equazioni andavano presi “cum grano salis”!
E mai come in questo caso suona tanto bene quel termine “grano”, che ci invita a tener conto che nelle equazioni di Maxwell si correva il rischio di perdere proprio la “granulosità” della carica elettrica.
Così in un materiale con cariche libere + e - di uguale modulo distribuite omogeneamente, la densità maxwelliana non salterebbe, da punto a punto, da (– )infinito dove ci sono cariche negative, a zero dove non vi son cariche, a (+) infinito dove vi son cariche positive, come giusto nella realtà microscopica impiegando la funzione densità, ma poiché invece la funzione densità maxwelliana dà valori medi su volumetti piccoli ma mai nulli davvero, essa varrebbe sempre zero in ogni punto, ricadendo in ogni volumetto finito attorno al punto considerato, uno stesso numero di cariche positive e di cariche negative, con buona approssimazione.
Pertanto, pur con l’ uso della densità di carica maxwelliana, rimase traccia logica dell’ipotesi B, che ho formulato e scoperto, ovvero la compatibilità con i dipoli rototraslanti sorgenti delle onde elettromagnetiche, a spiegazione delle onde e.m. Dipoli di cariche libere a somma totale nulla, potenzialmente sempre presenti in quei volumetti infinitesimi, (considerati a seguito di astrazioni analitiche in una descrizione continua di realtà discontinue nei fatti), volumetti che nelle equazioni delle onde e.m. la matematica ci dice complessivamente traslanti nel vuoto alla velocità della luce, come conseguenza della combinazione di leggi basilari dell’elettromagnetismo! Leggi che spiegano e implicano i precisi valori, conservati poi anche per il principio di inerzia e le altre leggi di conservazione, della velocità di traslazione, e di rotazione, di questi volumetti entro cui solidali ad essi son ubicati i dipoli dei fotoni, che non più oltre le Leggi di Maxwell potevano descrivere sulla base dei presupposti con cui erano state ottenute.
C’è un’ analogia allora tra i risultati delle equazioni di Maxwell e quelli per la deformabilità di corpi solidi descritti con modelli macroscopici continui nella scienza delle costruzioni ad esempio, dove si ottengono e descrivono dei comportamenti emergenti complessivi, ma senza tener poi conto della granulosità atomica dei corpi, a livello microscopico, dai quali atomi e loro legami davvero discendono le proprietà di resistenza dei materiali.
Per cui nessuno si sognerebbe di estendere dei risultati ottenuti in tal modo, da modelli continui, a proprietà dei punti euclidei del materiale, sapendo che esso ha una struttura atomica, granulare. Si parla di "criterio di scala" per la validità del modello continuo per porzioni di materiale macroscopiche, anche eventualmente piccole ma sempre contenenti numeri elevatissimi di atomi. Per capire le proprietà del materiale, in maniera riduzionista, ci si sposta allora nello studio del microscopico atomico. A questo secondo livello di studio aiutano anche le valutazioni macroscopiche, ma esse non bastano certo.
Lo stesso è avvenuto qui con le onde elettromagnetiche forniteci dalle equazioni di Maxwell e le loro proprietà da un lato, e la loro struttura granulare di base dall’altro, quest’ultima intuibile con la scoperta dei fotoni nel 1900, nei fatti una scoperta spiegata e compresa solo grazie al Modello Doppio Elicoidale del Fotone oggi.  
Le onde e.m. come emerse e descritte dalle eq. di Maxwell, ci hanno permesso di scoprire alcune proprietà dei loro componenti, i fotoni; ma questo da una descrizione continua, spalmata, oggi capiamo, di queste loro sorgenti, dei dipoli rototraslanti, (=i fotoni), con la velocità complessiva di traslazione nel vuoto pari alla velocità della luce nel vuoto.
Ma lo stesso Maxwell non fu mai soddisfatto dalla interpretazione fisica che egli stesso diede delle sue stesse onde, lo dimostra la infelice idea dell’ “etere” da lui formulato, e non solo.
Maxwell immaginò i campi nelle sue onde e.m. senza sorgenti (ipotesi A), da qui l’idea errata che fossero delle perturbazioni, data l’analogia matematica ondulatoria, come una sorta di onde che propagano in un materiale, ma onde di un substrato materiale occupante il vuoto che egli immaginò esistente, e che fu chiamato “etere luminifero”, ma  che le ricerche sperimentali non confermarono mai esistente, per lo meno con le proprietà che avrebbe dovuto avere sulla base delle proprietà attribuibili a partire da questa interpretazione maxwelliana.
La ricerca sperimentale si concentrò dunque persino sulle conseguenze della sua interpretazione delle onde elettromagnetiche come campi oscillanti svincolati da sorgenti, senza corroborarne mai questa visione implicante un certo etere, ciò nonostante non si comprese ancora bene perché non si riusciva a trovare questo etere, quale il significato vero di questa assenza e quindi cosa fossero in realtà le onde e.m. Tutto sempre perché non ci si era accorti dell’esistenza dell’ipotesi B,
(quella delle sorgenti dipolari elettriche dei campi dell’onda e.m., in accordo con l’interpretazione delle premesse matematiche delle Equazioni delle onde e.m. di Maxwell),
né dunque dell’errore di Maxwell consistente proprio nell'aver ignorato e non essersi accorto dell’esistenza di B, (ipotesi equiprobabile quanto la sua ipotesi di partenza A, in mancanza di un esperimento risolvente la questione, che nei fatti fu poi la stessa scoperta del fotone, che faceva capire che era B vera e A falsa, ma nessuno se ne accorse, con ulteriore conseguente “propagazione dell’ errore”!).
La conseguenza fu il non riuscire e non poter accorgersi, sulla base di queste premesse, da parte dei fisici, che i risultati sperimentali sull’etere andavano nel verso della dimostrazione della falsità dell’ipotesi A, e pertanto nel conseguente verso invece della affermazione della verità dell’altra ipotesi restante, la B, rimasta ignota, sebbene tutto sino a Maxwell aveva sempre fatto vedere che non esistevano campi elettrici e magnetici privi di sorgenti, indipendenti nello spazio e nel tempo da sorgenti.

Allo stesso modo quei tentativi disperati di Maxwell di spiegare ciò che mai riuscì a spiegarsi,

-) proprio persino quel modello, che ora troviamo molto significativo, a “ruote dentate” per spiegare la vorticità del campo elettro-magnetico nelle onde (il suo momento angolare), il suo molto noto e pubblicizzato "modello cremagliera" dell'etere, il mezzo che egli ipotizza essere il substrato su cui avvengono i fenomeni elettromagnetici;

o

-) il suo ulteriore modello dell' etere, (quest'ultimo meno pubblicizzato e che espose in un articolo per l'edizione del 1878 della Enciclopedia Britannica, poco tempo prima della sua prematura scomparsa), che immaginava l' etere ispirandosi, come scrive, alla teoria che aveva formulato Sir William Thomson (il grande fisico ed ingegnere chiamato anche barone Lord Kelvin, 1824 - 1907),  degli atomi-vortici. Gli atomi dei vari elementi si sarebbero distinti secondo le proprietà meccaniche inerenti allo speciale tipo di vortice, immaginò Thomson, in cui sarebbero consistiti, (interessante la spiegazione che così W. Thomson dava delle righe spettrali caratteristiche emesse da un atomo di un dato elemento, come vibrazioni proprie del vortice; una spiegazione che mostra una forte analogia con l'interpretazione di E. Schrödinger dei fenomeni quantistici; ma anche da sottolineare l'analogia con la visione atomica odierna che immagina gli atomi degli elementi formati da elettroni in moti perpetui non dissipativi attorno ai nuclei carichi positivamente); Maxwell, sulla scia di Thomson, immaginò un etere formato da tutta una serie di piccoli vortici in esso; un etere modellizzato come una sorta di fluido perfetto che tutto permea; non con un unico vortice per tutto l' etere intorno ad un asse, ma un etere composto di tanti piccoli vortici molecolari ciascuno ruotante attorno al proprio asse;    

son due modelli che ci dicono che Maxwell si stava avvicinando a capire, ma non arrivò fino in fondo, alla meta cognitiva, perché aveva una visione continua delle cose, che gli fornì strumenti matematici approssimanti efficacissimi, ma perdendosi da lì la realtà sottostante delle cose. E su tutto pesò poi anche e conseguentemente quello che abbiamo definito il suo "errore".

Quei vortici, che cercava, sono il moto rotatorio dei dipoli rototraslanti che io ho scoperto essere nulla più che i fotoni, e il cui momento angolare è esattamente nel mio modello, quello in modulo, direzione e i due versi possibili del fotone!

Maxwell osserva, nel citato suo articolo per l' Enciclopedia Britannica, che quei vortici molecolari, nell' etere che aveva immaginato, dovevano avvenire senza nessuna dissipazione di energia; questo è esattamente quanto avviene per l'equilibrio dinamico ed elettromagnetico del fotone nel modello doppio elicoidale da noi sviluppato, un moto rototraslatorio senza alcuna perdita di energia, con modo perpetuo in assenza di interferenze dall' esterno, (come nel Modec ben si descrive e ottiene, si deduce, in maniera fisico-matematica). Ma mentre per Maxwell quei moti vorticosi, quindi rotatori, avvenivano in un etere fisso in cui l' onda e.m. si propagava, influendo così sulle caratteristiche di quest'ultima, oggi vediamo invece che la vorticosità appartiene alle sorgenti dell' onda elettromagnetica, i fotoni (dipoli rototraslanti), non fissi, ma viaggianti in un "vuoto" non molto dissimile da quello nella visione odierna in MQ, che gli attribuisce, come fosse un dielettrico, formato da diffuse particelle cariche positive e negative, la proprietà della polarizzazione elettrica.    

Maxwell dichiarava sconsolato, in quel suo citato articolo, che non esisteva però alcuna teoria alla sua epoca per spiegare il mantenimento del moto perpetuo, non dissipativo, quindi senza che avvenisse la produzione di calore, di quei vortici ipotizzati nell' etere; dichiarava di non avere alcuna valida teoria sulla costituzione dell' etere, ma di essere certo che si trattava di una sostanza omogenea e isotropa che uniformemente permea tutto l'universo, rendendo il vuoto non vuoto, permettendo così l' interazione tra i corpi distanti, e influenzando in modi e forme ancora da comprendere la vita medesima.

Tutti questi dubbi ed idee embrionali di Maxwell nate dalla visione della realtà e dallo studio dei risultati delle sue equazioni, e su cui pesava quello che abbiamo definito "l'errore di Maxwell", oggi possono essere meglio definiti, sviluppati e risolti grazie alla nuova visione più precisa che emerge dal Modec.

Così Maxwell osservava inoltre, sempre nel citato articolo, di non aver alcun dato per determinare le dimensioni e il numero dei vortici molecolari ipotizzati da lui nell' etere. Son quei limiti, che già in altri scritti abbiamo espresso, che derivavano da alcune mancate scoperte ancora, quali il valore del quanto di carica elettrica, e l'equivalenza massa-energia, che insieme alla comprensione dell' errore di Maxwell, avrebbero permesso la scoperta del Modec; ma quell'  "errore" fu tanto pesante, epistemologicamente, che impedì, anche dopo tali scoperte, fino ai nostri giorni, la scoperta della vera struttura e natura del fotone. Senza quell' errore, già Maxwell stesso si sarebbe potuto orientare nel verso di un modello dei fotoni quali dipoli rototraslanti, sorgenti del campo e.m. dell' onda e.m., viaggianti a velocità c in un etere, esteso nel vuoto, polarizzabile elettricamente, anziché dover incappare in quel modello meno corrispondente alla realtà dei vortici nell' etere.      

La meravigliosa scoperta effettuata grazie alla teoria del Modec è che del fotone esiste, e ne abbiam dato, un modello descrittivo deterministico, ad oggi impensato come possibile o addirittura esistente, nel pensiero fisico mondiale corrente; un modello che lo descrive in tuttissime le sue caratteristiche note, nella sua struttura e leggi di moto, nel suo equlibrio dinamico da cui scaturisce come conseguenza la relazione E=hv, finalmente compresa in tutte le sue ragioni fisiche, h inclusa; nella sua stabilità elettromagnetica come “sistema limite” singolarissimo in cui la sua stabilità elettromagnetica coincide con la sua stabilità dinamica! E così capendo che il fotone è sorgente di campo, un dipolo rototraslante, non mediatore di campi! Ed in tal modo, partendo dalla sua struttura permettendone una perfetta descrizione e previsione del suo campo elettrico e magnetico in ogni punto dello spazio ed in ogni istante, identificandosi tali suoi campi con l’ onda e.m. a lui associata indissolubilmente, e da lui ora capiamo anche generata,!
La quantizzazione che tanto ci ha affascinato dal 1900, anno della scoperta del fotone, ad oggi, della radiazione elettromagnetica, altro non è che un effetto delle leggi dell' elettromagnetismo di base e della quantizzazione della carica, cui tutto così si riconduce.
Le equazioni di Maxwell danno allora una descrizione continua utile a trattare insiemi vastissmi di fotoni, in maniera per così dire spalmata, con funzioni che nel punto danno proprietà non dissimili, da quelle limite, rappresentate dalla densità di carica nella visione matematica maxwelliana sopra discussa.
Così il vettore di Poynting che dipende dal campo elettrico diventa un buon strumento matematico per descrivere il flusso di energia di una radiazione elettromagnetica nella visione continua spalmata emersa dalle equazioni di Maxwell, poiché la spalmatura della carica, evita la sua naturale puntiformità ed evita così divergenze del flusso energetico.
Il Modello doppio Elicoidale del fotone sta alle Equazioni di Maxwell dell’Elettromagnetismo classico,
come l’atomo sta al modello di Corpo Solido deformabile della Scienza delle Costruzioni, possiamo dire.
Con il Modello Doppio Elicoidale abbiamo descritto e compreso per la prima volta la struttura dell’ “atomo” della radiazione elettromagnetica, il suo “atomo” già scoperto, il fotone, ma come avvenuto per gli atomi degli elementi della tavola periodica, inizialmente ritenuti “atomi” letteralmente parlando, cioè indivisibili, e poi compresi invece come composti di più parti, idem è avvenuto ora per il fotone, scoperto non più indivisibile come fino ad  oggi creduto, ma composto di un simmetrico dipolo di punti materiali, (che si possono mettere in parallelo con ciò che si chiama coppie di materia-antimateria; anzi il Modec permette persino meglio ed in maniera più precisa realistica e senza conseguenti paradossi, rispetto a quanto permesso da altre precedenti teorie, di comprendere l’origine profonda e la natura delle coppie di materia-antimateria, di cui ci dice che devono avere un quanto di carica elettrica ciascuna, uguali in modulo ed opposti in segno tra loro, hanno uno spin pari per ciascuna a metà spin del fotone, come deve essere per le particelle elettrone-positrone osservate di queste coppie, e devono avere entrambe uguale energia totale positiva, dunque massa relativistica positiva, come corretto data la non esistenza della antigravità che la massa negativa implicherebbe gioco-forza come avviene invece paradossalmente  in in certe altre ritenute previsioni teoriche precedenti dell’antimateria)!
Il fotone aveva permesso di capire che l’energia del campo e.m.,
(meglio parlare di sola radiazione e.m., per ora ancora, date le distorsioni concettuali che il concetto di “campo e.m.” - e poi da qui ancor più in generale - il concetto di “campo” nel pensiero fisico teoretico odierno ha catastroficamente subito a causa dell’ errore di Maxwell),
era concentrata in degli spazi limitati, dove vi erano i fotoni appunto, oggi sappiamo più precisamente che è concentrata dove vi sono i due punti materiali delle due cariche del loro dipolo, che son sorgenti “dei campi dell’onda e.m.”; più coretto sarebbe dire “dei campi e.m. della radiazione e.m. che ha aspetto ondulatorio”. Anche l’aver subito parlato di onde da parte di Maxwell per una analogia con la meccanica delle onde nei corpi, ha contribuito a fuorviare la loro interpretazione, ma del resto la loro approssimazione continua, poteva facilmente portare a smarrirsi in quella direzione come avvenuto per 150 anni!
E mentre con il fotone come noto fino a ieri, non si poteva in alcun modo sapere che caratteristiche aveva il campo elettrico e magnetico dell’onda e.m. a lui associata, oggi con il suo modello doppio elicoidale ne possiamo dare una descrizione, e previsione in ogni punto dello spazio e del tempo.
L’aver spalmato la carica con artificio matematico nelle eq. di Maxwell ha reso possibile ed utile l’uso del vettore di Poynting per calcolarne il flusso di energia, che invece è dal punto di vista reale concentrata senza divergenze nei punti materiali dei fotoni, cioè divisa simmetricamente nei due punti materiali delle due loro semi-particelle, (e solo idealmente invece immaginabile concentrata nel loro centro di massa, oppure magari anche spalmata in tutto il loro campo, quindi in tal caso in tutto l’ universo in cui tale campo si estende sempre, ma con intensità decrescente con l’ inverso della distanza).

Interessante vedere nelle considerazioni successive gli stretti rapporti rintracciabili tra Modec del fotone e le equazioni di Maxwell, se confrontiamo il calcolo corretto del modulo del suo campo elettrico nel suo centro di massa con il calcolo approssimato dello stesso che ci fornisce l’uguaglianza tra il vettore di Poynting preso dalle equazioni di Maxwell e il flusso energetico correto del fotone nel Modec.
Invito pertanto ad approfondire il capitolo intitolato  “Il valore del campo elettrico del singolo fotone nel suo centro di massa”, nel file PDF qui nel primo link in rosso apribile in quiesta pagina: http://fiatlux.altervista.org/svelati-i-misteri-delle-unit%C3%A0-naturali-di-planck-grazie-al-modello-doppio-elicoidale-del-fotone.html ), ma può ora essere già utile e riassuntivo leggere quanto riporto qui dal sommario per tale capitolo:
“Nell’ appendice che abbiamo intitolato “Il valore del campo elettrico del singolo fotone nel suo centro di massa”, mostreremo come utilizzando il vettore di Poynting dell’elettromagnetismo classico fondato sulle Equazioni di Maxwell, per un’onda elettromagnetica piana monocromatica polarizzata circolarmente e che viaggia nel vuoto, utilizzando la sola ipotesi di una sezione trasversale del fotone, (fotone con medesima lunghezza d’onda dell’onda monocromatica), con le caratteristiche di tale sezione date dal Modello Doppio Elicoidale, sia possibile calcolare esattamente la medesima funzione, con la medesima costante di proporzionalità, che nel modello ci fornisce il modulo del campo elettrico del fotone, e quindi dell’onda a lui associata, (poiché da lui generata, come il modello di fa comprendere), nel centro di massa, dove ha valore costante, il tutto a meno di un fattore correttivo che occorre aggiungere, numerico, adimensionale, di solo circa 1,77!
Non solo, discuteremo, come il risultato ottenuto tramite questa procedura per calcolare il campo elettrico di un fotone a cui si associ, sulla base di evidenze sperimentali, (ad esempio dalla considerazione delle dimensioni che devono avere le fessure nei fenomeni di diffrazione), una sezione trasversale di larghezza dell’ordine della sua lunghezza d’onda, può già portare ad accorgersi come tale campo elettrico sia riconducibile a quello prodotto al centro di un dipolo di cariche all’incirca disposte sulla circonferenza di tale sua sezione trasversale, e in cui gioca un qualche ruolo il valore della Carica di Planck.
Tutto anche a conferma delle mie dimostrazioni, in altri scritti già divulgate, che mostrano come il fotone nella sua struttura dipolare rototraslativa fosse previsto già dalle equazioni delle onde elettromagnetiche sviluppate da Maxwell a partire dalle sue Equazioni studiate nel vuoto; ma Maxwell non se ne accorse, dando così luogo a quello che ho definito “l’ errore di Maxwell – il peccato originale della fisica contemporanea”, che ha avuto un peso enorme su tutto il pensiero fisico moderno, degli ultimi 150 anni, a partire da quando Maxwell presentò alla Royal Society, le sue meravigliose equazioni, nel 1864, esattamente 150 anni fa, da oggi, anno in cui, il 2014, ho scoperto, questo madornale errore, che ha avuto immense conseguenze sul pensiero fisico, oggi quasi tutto da rivedere a partire dai suoi fondamenti! Una scoperta di enorme importanza verso cui mi ha condotto lo studio approfondito del modello doppio elicoidale del fotone, già da me scoperto ed elaborato nei primi anni di questo XXI secolo.”

Ora il modello doppio elicoidale con tutte le sue innumerevoli coerenze con la realtà sperimentale e capacita di sintesi, legame e chiarificazione di risultati accumulatasi nel corso di decenni di ricerche scientifiche, portando alla scoperta di un errore risalente a 150 anni fa, e così mostrando la validità del postulato di dipendenza e rigidità dei campi elettrici e magnetici d’ogni tipo con le loro sorgenti immancabili e formate da cariche, (e che rappresenta una sorta di condizione al contorno implicita per la corretta lettura fisica dei risultati matematici delle eq. di Maxwell delle onde e.m.),
il tutto poi in accordo con la non-località del campo elettrico coulombiano, (e dunque di ogni campo elettrico per quanto abbiamo scoperto), e magnetico collegato se le cariche si muovono, nel verso della cui conferma sperimentale di azione a distanza si pongono anche recenti esperimenti (2012) effettuati nei laboratori di Frascati (Roma-Italia),

[qui riportiamo un successivo articolo in merito del 2014:

"Measuring propagation speed of Coulomb fields"

Authors: R. de Sangro, G. Finocchiaro, P. Patteri, M. Piccolo, G. Pizzella 

Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Laboratori Nazionali di Frascati, Frascati, Italy

Link: https://link.springer.com/article/10.1140/epjc/s10052-015-3355-3

Link PDF: https://link.springer.com/content/pdf/10.1140%2Fepjc%2Fs10052-015-3355-3.pdf


capiamo che il modello non può certo più essere giudicato sulla base di teorie sviluppate sull’errore di Maxwell, teorie che lo hanno inglobato con le innumerevoli conseguenze avute dalla propagazione di quell’ errore nel pensiero fisico contemporaneo. Solo ad esempio, si pensi alle teorie fondate sulla ipotizzata proprietà di località, che si avvalgono del fotone come mediatore dell’ interazione del campo e.m.,
(che scopriamo non essere più così, mediatore nel principio di località, ma vera e propria sorgente mobile di campi non-locali, cioè ad azione a distanza),
e che vedono lo sviluppo teorico dei potenziali ritardati e di teoriche leggi di interazioni elettromagnetiche nella formulazione delle Equazioni di Jefimenko, volte ad adattarle a questo principio di località, che i risultati ottenuti ci dicono dover invece abbandonare per una corretta lettura dei risultati osservati, anche sperimentali, (vedi esperimento di Frascati sopra), e ora anche teorici grazie al Modec! E si aggiungano anche i tanti fenomeni di entanglement che implicano anch'essi interazioni di tipo non-locale!

 

Nota: ci si chiede come sia possibile che non ci si sia mai posti prima il problema se delle equazioni, quali quelle di Maxwell, che prendevano le mosse da leggi che descrivono l' interazione della cariche elettriche, (cariche assunte quali sorgenti di campi elettrici e magnetici), potessero matematicamente davvero descrivere proprietà quasi meccaniche dell' etere e comunque dei campi elettrici e magnetici svincolati e presentati come indipendenti dalle loro sorgenti di partenza! Tutta questa mancanza di critica fisico-matematica a causa sempre dell' errore di Maxwel!     
 

 

IMPORTANTE RAPPORTO TRA MODEC ED EQUAZIONI DI MAXWELL

Analisi dei valori notevoli di velocità nel Modec in seno alla stabilità ed eccezionalità del sistema non a caso descrivente il fotone, previsto nelle sue caratteristiche dalle leggi di natura di base come una sorta di perfetto stato cinematico limite per il trasporto di energia, quantità di moto e momento angolare, (grandezze quantizzate così dall’esistenza del fotone), tramite la carica elettrica (in strutture dipolari nel complesso neutre quali i fotoni che son descritti dal Modec).

Le equazione di Maxwell comunque, pur nella loro approssimazione continua, che perdendo la discontinuità della carica che è in natura, non permetterebbe una descrizione completa del Modec, (descrizione ottima che comunque le leggi del moto e di equilibrio dinamico del Modec ci forniscono), ci dicono quale deve essere la velocità di traslazione del fotone, c, e questa velocità applicata anche alla traslazione del Modec, ortogonale al piano di rotazione delle due sue semi-particelle, quindi velocità di traslazione del suo centro di massa che ha solo moto traslatorio, è proprio quel valore, dei tanti a priori possibili, che per inerzia potrebbe avere e conservare il sistema in questa sua componente traslatoria di moto, (lungo la quale non agiscono forze), che permette, o meglio è condizione necessaria per la stabilità elettromagnetica particolarissima che abbiamo analizzato per il Modec! Con qualsiasi altro valore di modulo di tale velocità differente da c (la velocità della luce nel vuoto), verrebbe meno la possibilità di tale equilibrio elettromagnetico che consente la conservazione dell’equilibrio dinamico della struttura, tramite autoirraggiamento continuo di sé stesso.
Le Eq. di Maxwell per le onde, sulla base della scoperta dell’errore di Maxwell e delle sue approssimazioni continue, ci consentono di immaginare nascosti nei volumetti infinitesimi che traslano a velocità c nella descrizione delle onde e.m., nascosti dei dipoli rototraslanti, non fosse anche solo per il fatto che la somma delle loro cariche sarebbe sempre nulla là dentro in ottemperanza della condizione imposta da Maxwell per ottenere le equazioni delle onde, ovvero densità di carica nulla nei volumetti infinitesimi considerati! 
Per tali dipoli rototraslanti che stiamo scoprendo essere alla base dell’ esistenza delle onde e.m., analizziamo l’onda piana monocromatica polarizzata circolarmente. Si tratta di un onda e.m. descritta dalle equazioni delle onde di Maxwell, e nella quale il flusso di energia, dato nell'elettromagnetismo classico dal vettore di Poynting, è indipendente dal tempo, e dal punto considerato lungo la direzione di propagazione, in buona similitudine con un flusso energetico associato alla propagazione di una particella, o di una quasi-particella composta di due sotto-particelle come il fotone nel Modec, in cui le sue due componenti son poste entrambe sempre su un piano ortogonale alla direzione di traslazione, propagazione; enti particellari questi in cui l'energia è nei loro punti materiali, due nel caso del Modec, condensata. Le equazioni dell' onda e.m. piana monocromatica polarizzata circolarmente descrivono una importante peculiarità: in quest'onda il vettore del campo elettrico, e quindi anche quello ad esso ortogonale del vettore induzione magnetica, ruotano attorno alla direzione di propagazione con una frequenza pari alla frequenza dell' onda, in un senso o nell'altro, orario o antiorario, a seconda della elicità di polarizzazione circolare destra o sinistra. Questo aspetto che emerge dalle eq. di Maxwell delle onde diventa, alla luce del Modec, la previsione di un moto rotatorio nel piano ortogonale alla direzione di traslazione, del nostro sistema dipolare con frequenza [=pulsazione/(2 pi-greco)] pari a quella dell’onda e.m. generata dal fotone nel Modec. E anche qui con possibilità di rotazione in senso orario o antiorario, corrispondente ai due possibili versi dello spin. L'analogia con l' onda piana polarizzata circolarmente è fortissima, poiché nel fotone del modello doppio elicoidale le sue due cariche generano nel centro di massa un vettore campo elettrico diretto proprio ortogonalmente alla direzione di propagazione e così lì un vettore induzione magnetica ortogonale al campo elettrico e alla direzione di propagazione, con rapporti vettoriali analoghi, tra i due vettori e la direzione di propagazione, a quelli previsti nell' onda e.m., e anche qui tali vettori ruotano al propagarsi del fotone, secondo il Modec, con frequenza pari a quella di rotazione delle due semi-particelle cariche del dipolo (le cui cariche generano tali campi), che è la stessa frequenza, di conseguenza, dell' onda e.m. sviluppata nella propagazione del fotone a seguito dell'avvitamento nello spazio di questo eccezionale suo moto descritto dal Modec! 
Dal Modec sappiamo, infatti, che proprio tale componente di rotazione del moto delle due sue semi-particelle è fondamentale, perché è da essa, a seguito dell’avvitamento nello spazio dovuto al sommato moto traslatorio a velocità c, che i campi di ciò che sin ad oggi abbiamo chiamato onda e.m. associata al singolo fotone, e che oggi possiamo identificare, più correttamente dal punto di vista fisico, con l’ evoluzione spazio-temporale dei campi elettrici e magnetici che hanno nel dipolo del fotone le loro sorgenti, manifestano la nota proprietà della frequenza e della correlata lunghezza d’onda.
In merito a questo moto rotatorio, esso avviene con una certa velocità tangenziale di rotazione, Vtang, costante, nel piano di rotazione tangente appunto all’orbita circolare lì descritta, uguale in modulo per i due punti materiali delle cariche del dipolo.
Nello sviluppo del Modec, (per una trattaziona analitica vedi il PDF di base sul Modec), dall’espressione dell’energia totale del sistema fotone in funzione della frequenza, che si ottiene dall’equilibrio dinamico, ricaviamo l’espressione della costante di proporzionalità che mostra una dipendenza da Vtang, e che deve essere uguagliata a h, la costante di Planck ottenuta sperimentalmente per i fotoni, come costante di proporzionalità proprio appunto tra la loro energia e la frequenza, E=hν,
così esprimiamo il modulo dello spin totale del sistema, e anche in questo caso troviamo una dipendenza da Vtang, espressione che deve essere uguagliata ad h/(2π), che è il modulo dello spin del fotone ottenuto sperimentalmente.
Affinché il nostro sistema possa rappresentare il fotone, dal sistema di queste due equazioni, le due espressioni sopra indicate, si ricava che Vtang deve essere necessariamente uguale a c: Vtang = c !
Questo risultato però non ha solo il grandissimo merito di accordare perfettamente il nostro sistema con la descrizione del fotone, non si tratta infatti di un valore casuale che soddisfa tutto questo, ma anche di quel solo valore di Vtang possibile, nel quadro cinematico sin qui delineato, ovvero con traslazione del sistema a velocità c, affinché nel sistema doppio elicoidale si annullino le forze magnetiche di Lorentz che si esercitano tra le cariche delle due semi-particelle; ciò connota dunque, in maniera molto precisa, e anche univoca e caratteristica dal punto di vista fisico, la struttura doppio elicoidale propria del fotone, da tutte le eventualmente altre possibili configurazioni cinematiche e dinamiche doppio elicoidali di pari frequenza. Ed è in questa specialità cinematico-dinamica del fotone, che vede l'annullamento delle forze di Lorentz, che va ricercato e necessariamente ricondotto il segreto della quantizzazione della radiazione elettromagnetica implicata, come già abbiamo scoperto, dalla quantizzazione della carica elttrica.  
Facciamo alcune brevi considerazioni per capire il perché dell’ importanza di tale valore di Vtang = c.
Se Vtang è diverso da c,
allora l’ energia sarà E=hν(c/Vtang)
mentre lo spin avrà modulo S=( h/(2π))(Vtang/c)
Posti in un intorno di c, la forza di Lorentz che è sempre diretta lungo la congiungente le due cariche del dipolo,
se Vtang > c, dà contributo attrattivo;
se Vtang < c, dà contributo repulsivo.
Nel complesso però il sistema rimane sempre legato, dato che la forza risultante, elettrica di Coulomb + magnetica di Lorentz risulta sempre attrattiva.
(I risultati superiori sono facilmente ricavabili a partire dal PDF di base sul Modec).

Vtang, si considera il modulo di tale velocità. in realtà le disuguaglianze sopra che abbiamo scritto valide in un intorno di c, valgono matematicamente per ogni valore positivo di Vtang; e per ogni valore di Vtang, allo stesso modo, nel complesso il sistema rimane sempre legato, dato che la forza risultante, (elettrica di Coulomb + magnetica di Lorentz), risulta sempre attrattiva quale sia il valore di Vtang purché diverso da zero. Il caso estremo da considerare, almeno teoricamente per il momento, è quindi quello in cui Vtang=0. In tal caso il sistema sarebbe a priori stabile, non ruotando, quindi con forza centripeta nulla e verificandosi al contempo la condizione in cui la forza risultante, elettrica di Coulomb + magnetica di Lorentz, a Vtang=0, risulta annullarsi, (poiché fissata la distanza tra le due semiparticelle, la Forza di Lorentz assume, in Vtang=0, il massimo in assoluto valore repulsivo, che è uguale ed opposto al valore sempre attrattivo della Forza di Coulomb a pari distanza tra le due semiparticelle del dipolo fotonico). Le due semiparticelle potrebbero quindi pur essendo formate da cariche uguali in modulo ed opposte in segno viaggiare traslando in parallelo a velocità c, ed equidistanti, in tal caso sarebbero entrambe particelle luminali. Ma questa configurazione ottenuta matematicamente a Vtang=0 non corrisponderebbe alle proprietà che conosciamo del fotone, sarebbe infatti un dipolo non rotante ma solo traslante nel vuoto a velocità c in direzione ortogonale al suo asse di dipolo, non descrivente alcuna possibile lunghezza d'onda per il campo e.m. prodotto:

la Natura proprio con l'esistenza del fotone, alla luce del modello doppio elicoidale, ci dice essere la condizione di massimo equilibrio verso cui si porta il fotone, quella in cui la Forza di Lorentz si annulla, quella dunque in cui Vtang = c.

Lo studio cinematico e dinamico del modello doppio elicoidale ci dice che la Forza di Lorentz scambiata tra le due semi-particelle del dipolo si annulla quando Vtang=Velocità di traslazione del sistema.

Dalla necessità del modelo di descrivere il fotone, la velocità complessiva di traslazione del sistema deve essere posta uguale a c il cui valore, oltre che empiricamente, è fornito anche proprio dalle equazioni di Maxwell; un valore ben preciso che assegnato al sistema del fotone doppio elicoidale gli permette, non a caso, di essere stabile anche elettromagneticamente: per cui tale valore Vtraslazione=c, (da cui consegue anche per la rotazione Vtang=c), è il valore implicato dalla Natura per la stabilità elettromagnetica del fotone.

Torniamo a porci in un intorno di V=c .

Per cui se fissata la frequenza ν, fosse
1) Vtang > c , allora E=hν(c/Vtang)h/(2π)[minore di]hν e S=( h/(2π))(Vtang/c)[maggiore di] h/(2π)
2) Vtang < c , allora E=hν(c/Vtang)[maggiore di]hν e S=( h/(2π))(Vtang/c)[minore di] h/(2π)

(<> Nota alcuni segni di “maggiore” o “minore” son indicati tra parentesi quadre, per evitare le complicazioni che in questo formato di testo danno i loro simboli corrispondenti)

Nel caso (1) il sistema sarebbe instabile elettromagneticamente dovendo emettere un fotone a quella frequenza e di energia hν che il sistema non ha;
Nel caso (2) il sistema sarebbe instabile elettromagneticamente dovendo emettere un fotone a quella frequenza e di spin h/(2π), ad un valore di momeno angolare, dunque, diverso da quello del sistema doppio elicoidale di partenza.
La stabilità elettromagnetica si ha solo dunque se Vtang = c condizione cinematica che corrisponde alla condizione notevole, di dunque fondamentale importanza, scopriamo, di annullamento delle forze di Lorentz interne, quella alla quale le proprietà del sistema coincidono in ogni aspetto, non a caso, con quelle del fotone osservato sperimentalmente.
Nella descrizione del fotone di Planck e nel modello di fotone che io propongo, ci sono solo due momenti di confronto con la realtà per stabilire, sulla base della relazione E=hν, il valore sperimentale di h e quello del modulo dello spin del fotone, gli stessi due valori forniti dall’osservazione sperimentale che nel Modec permettono di assegnare il giusto valore ad un parametro dielettrico legato alla forza di Coulomb e al modulo della velocità di rotazione Vtang, gli unici due parametri da settare, nel passaggio dal modelo matematico a quello fisico del fotone. Ma, dopo questo passaggio, il valore ottenuto in tal modo per la Vtang = c, permette di capire che tale impostazione deriva da una condizione dinamica notevole della configurazione: è quel solo valore di Vtang in cui si annullano le forze di Lorentz di tipo magnetico interne!
E così mentre i parametri sperimentali da settare con l’osservazione del fotone nella realtà, in laboratorio, sono due inizialmente, nel Modec si riducono in tal modo ad uno solo, bastando così un solo momento di confronto con la realtà, un solo parametro da misurare dei due, o h, o lo spin del fotone che ha valore h/(2π), per settare interamente il modello. Del resto la strettissima relazione tra h e lo spin, che ha nel fotone valore esattamente pari a h/(2π), già fa capire che esiste una ragione profonda per cui quelle due grandezze hanno tali valori, una ragione che era sino ad oggi nei fatti ignota: ma il Modec ci permette di scoprire invece, da oggi, quali ragioni profonde li legano, una di queste è proprio l'annullamento delle forze di Lorentz magnetiche interne al dipolo del fotone nella sua struttura!

 

Riportiamo ora un estratto dalla traduzione di un testo dello stesso Einstein, dove bene si può evincere come egli non si rese conto dell'errore sotteso all'interpretazione delle equazione delle onde elettromagnetiche di Maxwell, delle quali Einstein intuisce essere i loro limiti anche legati alla loro natura continua, ma senza scendere ad una loro analisi critica profonda che avrebbe permesso di coglierne l’errore di Maxwell e le sue conseguenze!
Vi si evince infatti, anche da questo brano, come Einstein non effettuò un'analisi critica di quelle equazioni nei loro fondamenti, e pertanto preferendo, come leggiamo nella parta estrapolata di seguito riportata tra virgolette, parlare di una sorta di limiti di quelle equazioni e soprattutto di quella teoria correlata, quella dell’ elettromagnetismo classico, nel verso poi di una cesura tra la teoria classica di Maxwell e la teoria dei quanti, che soprattutto da questo lavoro di Einstein in poi avrebbe preso corpo. Notiamo ancora in questo scritto come Einstein non si pose il problema, (che invece io ho ritenuto cruciale e ho pertanto posto alla base delle mie speculazioni che hanno portato al Modec), di comprendere la struttura dei quanti di energia della radiazione elettromagnetica, struttura tale da spiegare, con principi, elementi e leggi ancora più primi e noti, tutte le particolari caratteristiche del fotone, e tale da risolvere così anche la cesura sopra citata, che io affermo essere inaccettabile da un punto di vista fisico-teorico, (dato che la Natura è una è sola e scritta secondo forme e linguaggi matematici, secondo la grande intuizione di Pitagora riaffermata da Galileo), cesura che invece Einstein ha contribuito a inaugurare, con tutte le conseguenti conseguenze che oggi grazie al Modello Doppio Elicoidale del Fotone ci sono ben chiare.
Scrisse Einstein: "la teoria ondulatoria della luce, che fa uso di funzioni spaziali continue [si intende quella legata alle equazioni delle onde elettromagnetiche della teoria di Maxwell], si è verificata ottima per quel che riguarda i fenomeni puramente ottici e sembra veramente insostituibile in questo campo. Tuttavia, bisogna tenere presente che le osservazioni ottiche si riferiscono a valori medi nel tempo e non ha valori momentanei; sebbene abbiano trovato assoluta conferma la teoria della diffrazione, della riflessione, della rifrazione, della dispersione ecc..., è pensabile che la teoria della luce, fondata su funzioni spaziali continue, possa entrare in conflitto con l'esperienza qualora venga applicata ai fenomeni di emissione trasformazione della luce.
Infatti mi sembra che le osservazioni compiutesi sulla radiazione di corpo nero, La fotoluminescenza, l'emissione di raggi catodici tramite luce ultravioletta ed altri gruppi di fenomeni relativi all'emissione ovvero alla trasformazione della luce, risultino molto più comprensibili se vengono considerate in base all’ ipotesi che l'energia sia distribuita nello spazio in modo discontinuo. Secondo l'ipotesi che voglio qui proporre, quando un raggio di luce si espande partendo da un punto, l'energia non si distribuisce sui volumi sempre più grandi, bensì rimane costituita da un numero finito di quanti di energia [che nello stesso scritto Einstein chiamerà “fotoni”] localizzati nello spazio e che si muovono senza suddividersi, e che non possono essere assorbiti od emessi parzialmente." (Albert Einstein, "Emissione e Trasformazione della Luce da un punto di vista euristico" 1905, introduzione).

 

NOTA: SULL’ INDIPENDENZA TRA LORO DEI FOTONI

Abbiamo scritto spesso che le equazioni di Maxwell danno della radiazione elettromagnetica una descrizione matematica continua in termini di onde elettromagnetiche, amalgamante possiamo dire, una realtà corpuscolare delle radiazioni che le stesse equazioni, per quanto scoperto, permettevano di prevedere. Corpuscolare in termini della presenza di sorgenti elettriche di cariche distribuite nello spazio e viaggianti a somma algebrica totale nulla. Caso minimo: il singolo fotone di composizione dielettrica descritto dal Modec.

La natura corpuscolare dielettrica dei fotoni e la correlata nuova visione emersa per i campi elettrici e magnetici, (permessa dal Modec e dalla scoperta dell’ Errore di Maxwell), evidenziano la possibilità di una interazione tra due fotoni distanti, e tra i fotoni tra loro in generale, e pongono la questione della indipendenza dei fotoni.

Ne deduciamo che la descrizione del Modec vale perfettamente nella condizione ideale di fotone isolato da tutto, in un sistema isolato senza campi esterni, eccezion fatta per la permanenza del substrato di etere.

Possiamo pertanto interrogarci su quali siano le circostanze in cui con buona validità descrittiva la radiazione e.m., (sempre nei fatti microscopicamente discontinua), si può considerare come composta di fotoni tra loro considerabili in buona approssimazione come indipendenti, e quando invece tale descrizione risulta inefficace a causa della maggiore interazione tra le cariche elettriche dei fotoni componenti l’intera radiazione e.m. considerata, tanto da dover rinunciare alla ricerca e descrizione di un singolo fotone dato l’ intreccio interattivo tra loro, secondo un’ architettura risultante complessiva bene descrivibile proprio con gli strumenti continui amalgamanti delle classiche, non a caso importantissime, Equazioni di Maxwell.

Qui vediamo come questo concetto della deducibile indipendenza tra i fotoni tra loro in opportune condizioni è già emergente nelle prime riflessioni sul fotone, addirittura nelle stesse prime riflessioni in cui si immagina e si propone l’ esistenza stessa dei fotoni come “quanti di luce”, come “quanti” della radiazione elettromagnetica.             

Nel 1905, infatti, Albert Einstein nel suo articolo intitolato “Emissione e trasformazione della luce dal punto di vista euristico”, pubblicato sulla rivista “Annalen der Physik”, scrive che “una radiazione monocromatica di densità ridotta (…) si comporta, per quanto riguarda la termodinamica, come se fosse composta di quanti di energia indipendenti l’uno dall’altro di grandezza E=hν ”. Si tratta di quella che scrive essere “l’ ipotesi che l’energia della luce sia distribuita nello spazio in modo discontinuo”.

Ci si riferisce nel caso limite di basse temperature (nel caso dello spettro di corpo nero), e piccole lunghezze d’onda in cui la radiazione elettromagnetica appare meglio descrivibile con il concetto di “quanti di luce” indipendenti, anziché con la teoria più convenzionale della propagazione ondulatoria della luce.

Nel 1913, Planck commentò l’ipotesi dei fotoni fatta da Einstein, giudicata da tanti contemporanei come da lui ardita, (ma poi rivelatasi sperimentalmente corretta e ineccepibile), comunque rimarcando che: “le Scienze esatte progredirebbero ben poco, se nessuno osasse correre rischi”.

Importante poi osservare che per Einstein, influenzato dal non visto e non ancora scoperto Errore di Maxwell, il fotone non solo era ritenuto complessivamente neutro, come sperimentalmente appare, ma anche privo di distribuzione di carica a somma nulla, a differenza quindi di quanto teorizza il Modec, motivo per cui Einstein non poteva spingersi oltre nel verso di riflessioni concernenti la possibile interazione reciproca tra fotoni.     

 

Nell' elaborazione e scoperta del modello doppio elicoidale del fotone, e così poi anche successivamente per la correlata scoperta di quello che abbiamo definito come "l'errore di Maxwell", estremamente importante è ricordare quale sia stata la mia idea guida in merito alla comprensione della vera natura delle onde elettromagnetiche.
Sin da quando per la prima volta, già ai tempi pre-universitari del liceo, studiai le equazioni di Maxwell e le conseguenti onde elettromagnetiche, nella rappresentazione solita di queste ultime sui libri di testo, non potevo accettare la visione di vettori rappresentanti il campo elettrico e il campo magnetico, di tali onde, esistenti nello spazio e nel tempo senza che avessero delle cariche elettriche sorgenti in movimento complessivamente traslanti insieme all' onda elettromagnetica.
Un' idea guida, (questa mia relativa alla impossibilità dell' esistenza di campi elettrici e magnetici in una radiazione elettromagnetica senza che vi siano cariche elettriche loro sorgenti e che si muovono, traslando complessivamente nello spazio con la radiazione che generano o di cui possiamo dire son parte fisiologica), eretica rispetto alla concezione dell'onda elettromagnetica sviluppata concettualmente invece da Maxwell, ma per me invece fisiologicamente ovvia e naturalissima! Campi elettrici e magnetici non son mai, pertanto, entità esistenti indipendentemente dalle cariche elettriche, che magari li hanno generati inizialmente, ma son sempre considerabili quali un' estensione in tutto lo spazio delle stesse cariche elettriche, estensione rigida ad esse.

 

ULTERIORI CONSIDERAZIONI

Le Equazioni di Maxwell proprio per la grande potenzialità dell' approssimazione continua su cui si fondano possono descrivere il comportamento di insiemi di fotoni, dove poi anche i fotoni interagiscono tra loro elettricamente, e di queste interazioni le equazioni di Maxwell anche tengono conto.
Questo è molto utile per la descrizione del comportamento, ad esempio, delle onde e.m. a basse frequenza con le densità di energia usate tecnologicamente dall' uomo del nostro tempo, situazioni nelle quali l' energia del singolo fotone sarebbe bassissima, essendo bassa la frequenza (E=hv), e si avrebbero alte densità di fotoni, in tali circostanze il parlare di fotoni come entità isolate ed indipendenti anche strutturalmente potrebbe essere errato:
il modello semplicistico di fotone sviluppato dal MODEC descrive bene il fotone nell' ipotesi di fotone isolato e dunque non interagente (anche ora dobbiamo dire elettricamente) con altri fotoni,
e già pertanto questo modello ci mostra il perché delle considerazioni qui fatte sulle onde e.m. a basse frequenze e densità di energia di comuni usi tecnologici, in tal caso infatti si potrebbero avere, anche con densità di energia non elevate, molti fotoni ciascuno a bassa energia intersecati tra loro, dato il significato geometrico della lunghezza d' onda nella struttura del fotone, con l' impossibilità di trascurare le interazioni tra i dipoli dei vari fotoni. Per questo in tali circostanze è bene abbandonare il punto di vista focalizzato sui singoli fotoni e seguire la descrizione del comportamento dell' insieme del loro "mare di dipoli" dato dalle Eq. di Maxwell delle onde e.m., del "mare di cariche elementari" a sommatoria (densità) nulla che costituisce il tessuto microscopico di un' onda e.m., come la scoperta dell' "Errore di Maxwell" fa comprendere.
Viceversa quando la frequenza della radiazione e.m. aumenta, è elevata, e l' energia del singolo fotone anche aumenta e diminuiscono con la lunghezza d' onda le sue dimensioni trasversali, possiamo trovarci in situazioni di minore densità spaziale di fotoni, situazioni nelle quali dunque il concetto di fotone stesso assume più validità ed interesse descrittivo per la radiazione elettromagnetica, situazioni nelle quali vale in buona approssimazione l' ipotesi di indipendenza tra fotoni, e quindi lì emerge la valenza della descrizione data in tal caso per il fotone dal semplicistico MODEC (Modello doppio elicoidale del fotone).
La valutazione ora insieme delle Eq. delle onde e.m. di Maxwell e del MODEC ha condotto verso questi risultati cognitivi.
Tra questi non si deve dimenticare la rivoluzione aperta ora nella comprensione dell' interazione e.m. che è non-locale, cioè a distanza istantaneamente (come già era nell' impostazione coulombiana, ispirata dalla gravità newtoniana, e stravolta poi a causa delle conseguenze dell' "errore di Maxwell"), e con radiazione elettromagnetica che si propaga a velocità finita c.
Si capisce ora bene la differenza sostanziale esistente tra radiazione e.m. e interazione elettrica e magnetica, concetti sui quali grandissima confusione ha fatto la Fisica Moderna, arrivando a credere l' interazione elettrica e magnetica locale e mediata da fotoni, quando invece i fotoni esistono e son spiegati dall' interazione elettrica e magnetica a distanza come ha mostrato il MODEC!
Già qui si vede come io, o meglio dire questa mia complessiva teoria, o meglio dire ancora la mia scoperta matematica, perché di matematica si tratta quando parlo di "errore di Maxwell", scoperta di un aspetto semplicissimo tanto elementare quanto grandioso, non inseguo il conflitto volto alla rottamazione delle teorie passate, ma invito ad un lavoro di limatura e correzione di esse, di revisione teroica, ad una "critica della fisica pura", come l' ho definita.
Stesso discorso vale per la MQ, come certamente ben si comprende leggendo i miei scritti, tanto che addirittura la MQ emerge, è implicata dalla scoperta di quell' errore, altro che MQ come qualcosa di "rivoluzionario" rispetto alla Fisica classica, tutt'altro, ma essa è ora una banale conseguenza della Fisica classica, perché si scopre che è la quantizzazione della carica elettrica che, costituendo il fotone, implica una meccanica della quantizzazione, una MQ, ma stavolta senza le storture dogmatiche e spiritistiche che l' hanno connotata sin ad oggi, senza più i paradossi concettuali della odierna MQ che ora possono essere risolti. E la potenza come strumento descrittivo della MQ non svanirà certo!
Così essendo stata tutta la visione della natura di Einstein affetta dal non visto errore di Maxwell, anche la sua complessiva Teoria Relativistica (TR) ha bisogno di esser rivalutata criticamente, di essere risciacquata nelle acque dell' Idro (il fiume che sfocia a Otranto, non lontano dalla mia città Maglie), parafrasando scherzosamente Alessandro Manzoni. A tal fine vi dedicai delle riflessioni qui condensate: http://fiatlux.altervista.org/la-relativit%C3%A0-ristretta-finalmente-corretta-attraverso-la-guida-illuminante-del-modello-doppio-elicoidale-del-fotone.html

Tutti abbiamo cercato la Unificazione delle teorie, ma essa non si poteva raggiungere senza aver prima il coraggio di evidenziare questa ovvietà:

-) se due o più teorie descrivono bene con opportune approssimazioni la Natura in certi ambiti distinti, ma si fondano su presupposti e filosofie della Natura contraddittorie, una contraddizione dunque inammissibili poiché la Natura è una e non contraddittoria,

-) se nessuna di quelle teoria ha la forza concettuale di sconfessare l' altra;

allora è chiaro che l' unificazione si raggiunge non sviluppando teorie che semplicemente inglobano le precedenti, come sin ad oggi si è tentato di fare, (penso ad esempio agli impegni teorici più contemporanei sulla cosiddetta "gravità quantistica" o sulla cosiddetta "teoria delle stringhe"), perché vorrebbe dire inglobarne le contraddizioni, magari con un altro dogma vergognoso che vorrebbe "la Natura per sua natura contraddittoria", (abbiam sentito oscene frasi simili da certi "fisici" negli ultimi decenni, roba da accapponare la pelle!),

ma cercando gli inevitabilmente presenti, a quel punto, loro errori di fondo;

uno stesso errore comune ad entrambe le teorie (TR e MQ) abbiam meravigliosamente scoperto oggi: "il grande peccato originale della Fisica Moderna"!

E poi vi è da chiedersi anche: tutto questo quadro fisico-epistemologico che espongo, così ricco, così interconnesso, così esplicativo ed esaustivo, fondato su basi matematiche e fisiche, che risponde subito, come è possibile?
E' possibile perché l' errore era semplice, tanto semplice da non esser visto da nessuno per 150 anni, e una volta scoperto esso fa rileggere tutto subito con massima semplicità, con la chiave di lettura corretta che era ad oggi assente!
Vedere la struttura del fotone, "mi ha fatto vedere la Luce, e la Luce ci ha dato lungimiranza", "abbiamo visto la Luce davvero per la prima volta", con l' intelletto, nella sua struttura!
Una struttura del fotone che non doveva esistere e non doveva poi certo reggere fisico-matematicamente secondo la Fisica moderna, invece tale struttura come modello fisico-matematico esiste, l' abbiamo trovata nel MODEC, e già questo sconfessava, sconfessando quel suo tabù, la correttezza epistemologica di fondo della Fisica Moderna, in più poi il MODEC ha indicato la strada per trovare e capire il suo errore: "il grande peccato originale della Fisica moderna", la cui scoperta ha comportato questo vero e proprio, possiamo definirlo, "Big Bang cognitivo"!
 


Oreste Caroppo

 

Dipolo elettrico, le due cariche (+) e (-) ed il suo campo elettrico di forze ESCAPE='HTML'

Linee di forza, qui nell’ immagine, del campo elettrico generato nello spazio da due cariche elettriche puntifomi di un dipolo, rappresentate tali linee su un piano contenete le due cariche.

Un modo simpatico per visualizzare un andamento analogo a queste linee di forza consiste, (come mi resi casualmente conto una mattina appena in piedi, tempo dopo aver pubblicato questa foto), nello ben stendere liscio un lenzuolo su un morbido materasso, e affossare quindi, spingendo con il proprio peso sulle due mani a pugno, tra loro distanziate di alcuni centimetri, i due pugni sul lenzuolo-materasso: le linee di corrugamento del lenzuolo che vi appaiono subito in tal modo ricordano quelle delle linee di forza nel piano del campo elettrico di un dipolo elettrico di cariche puntiformi giacenti nel medesimo piano (caso nel piano mostrato qui nell’immagine sopra).

Se invece si affossa un solo pugno si dipartono grossomodo linee di corrugamento rettilinee a raggiera da esso, che ricordano invece le linee di forza nel piano del campo elettrico generato da una sola carica elettrica puntiforme giacente nello stesso piano.